Ci siamo già passati (Riflessioni pandemiche)

In collaborazione con la dottoressa Lara Ferrari, psicologa e psicoterapeuta

Ci siamo già passati.

La quarantena è stata pesante, opprimente sotto tutti gli aspetti: l'isolamento, la clausura, la paura, il bombardamento mediatico, la malattia

La maggior parte di noi, probabilmente, ha reagito con una forte carica emotiva che ha disregolato il nostro organismo in modi differenti: chi con forti attacchi d'ansia, chi con variazioni dell'appetito o dell'umore, chi con disturbi del sonno o esacerbazioni di sintomi ossessivi e ipocondriaci, chi con il rifiuto e la negazione di una realtà troppo diversa da quella a cui era abituato

Magari questi strascichi ci hanno accompagnato nei mesi successivi: qualcuno è riuscito a tornare al normale equilibrio nel corso di un'estate tutto sommato tranquilla, qualcuno non è riuscito a superare l'enorme stress subito e ha continuato a vivere nella scompenso

E adesso ci risiamo, la situazione odierna è un deja vu che ricalca un film già visto mesi fa: i contagi aumentano, la popolazione si divide tra terrorizzati e ottimisti, Conte snocciola un Dpcm dietro l'altro stringendo gradualmente le misure

È un iter che ormai conosciamo e i segnali che ci arrivano richiamano le vecchie sensazioni provate in quarantena

L'impatto è soggettivo: c'è chi si troverà in difficoltà lavorative, chi meno; chi si chiede come gestirà la situazione con i bambini, chi di bambini non ne ha; chi riesce a fronteggiare costruttivamente l'ansia del futuro, chi invece si blocca o sprofonda in uno stato di angoscia

Non è una gara a chi è più bravo a gestire psicologicamente la pandemia, non è una competizione a chi riesce ad essere più funzionale

Tutte le reazioni che abbiamo, in primis, vanno validate: nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato se fa fatica, nessuno dovrebbe pensare di essere "meno attrezzato" nell'affrontare una situazione che per tutti è eccezionale. E nessuno dovrebbe sentirsi attaccato, al contrario, per il fatto di avere un atteggiamento positivo

Ma, pensiamo, non ci si può neppure fermare qui.

Come professioniste della salute mentale è nostro dovere confermare il diritto a stare male in situazioni dolorose. Tuttavia, fermandoci qui, rischieremmo di portare un intervento riduttivo

Non è nelle nostre possibilità fermare i contagi come per magia né cancellare l'angoscia che questi comportano. Ma possiamo aiutarvi a capire, invece, se il disagio che provate può essere alleviato, supportato o, in qualche modo, accompagnato.

Se ci accorgiamo di essere completamente disregolati, incapaci di attendere ai nostri compiti, sopraffatti da paura e angoscia, forse dovremmo chiedere aiuto.

Non per tornare produttivi al 100% o per attaccarci al mantra dell' "andrà tutto bene" e neppure per iniziare a vivere come se la pandemia non esistesse.

Ma per riscoprire le nostre risorse, le cose che ci fanno stare bene e canalizzare le nostre energie in modo che non si rivoltino contro di noi.

Un pezzetto alla volta, si può imparare a vivere davvero anche in pandemia.

Magari non oggi, se è una giornata così nera, ma forse domani.

Interviste nella didattica a distanza. Parte 2: scuole medie e superiori

Da una ricerca della dottoressa Annalisa Dotelli e della dottoressa Cristiana Donato

Se alla scuola primaria molti problemi derivavano dall'impossibilità dei bambini di poter gestire autonomamente lezioni e compiti, nella scuola secondaria questa difficoltà si riduce.

Attraverso una serie di interviste a professori, genitori e ragazzi stessi, abbiamo provato a capire cosa ha funzionato e cosa no nella didattica a distanza delle scuole medie e superiori.

Innanzitutto, una differenza fondamentale l'hanno fatta i presidi: laddove le lezioni online sono state presentate come obbligatorie e si è sollecitata una ripresa rapida della didattica, si è riscontrata una maggiore efficienza e collaborazione, rispetto alle scuole dove il fare lezione o meno è stato lasciato alla "coscienza degli insegnanti".

L'organizzazione iniziale non è stato comunque semplice in nessun caso, a partire dalla stesura di un nuovo orario scolastico.

Come spiega una mamma: "La dirigente ha chiesto di non fare più di 10 ore a settimana di didattica online e i professori più intraprendenti si sono accaparrati più ore. Mio figlio, in terza media, ha solo 2 ore di italiano a settimana. La prof di matematica è riuscita a prendersi un'ora sola in cui fare algebra, geometria e scienze. Mi sono infuriata. È una classe di ragazzi che per i 2/3 ha scelto il liceo scientifico o istituti tecnici. Sono riuscita a ottenere un'ora di matematica in più alla settimana."

Riorganizzare i programmi e le lezioni seguendo un orario forzatamente ridotto, per non tenere i ragazzi troppe ore davanti al pc, è stato un lavoro complesso, cui gli insegnanti non erano preparati.

Per fortuna, tra le diverse esperienze raccolte, ci sono stati anche svariati elementi di positività.

Che cos'è che ha funzionato?

"È stata una bella spinta all'autonomia", ha detto una mamma che ha un figlio alle superiori e un'altra in terza media. "Mio figlio più grande, per pigrizia, non aveva mai voluto imparare a usare il computer e ora ha dovuto farlo. Entrambi sono stati in difficoltà in principio e hanno speso parecchio tempo per capire come funzionavano le cose, ma ci si sono messi e alla fine hanno ingranato. Vedo che ora sono molto autonomi e si gestiscono da soli".

Un'altra madre, che ha una figlia in prima media, cita l'importanza che ha avuto per loro il rappresentante di classe.

"Il rappresentante di classe ha un database di tutti i contatti dei compagni dei propri figli. Era l'alleato indispensabile. Così, tramite lui è partito il censimento di tutti gli alunni per capire che margine di manovra informatico avessero le singole famiglie. In questo modo, almeno noi, siamo riusciti a recuperare il 100% dei compagni di classe delle figlie delle medie. Mia figlia è in prima media e ha compagni che vengono dai cinque continenti. In videolezione non manca mai nessuno. Nella scuola, quella vera, era la classe più in difficoltà dell'Istituto. Nella scuola virtuale è diventata quella dei 'tutti presenti' all'appello 2.0.

Perché da subito il nostro motto è stato non si lascia indietro nessuno e ha funzionato."

Abbiamo poi un professore delle medie, entusiasta del lavoro che è stato fatto nelle scuole medie dove lavora. Fin da subito è stato inserito nel Comitato tecnico della didattica a distanza, cercando le soluzioni migliori per le condizioni in cui ci si trovava.

"Si è vista tutta l'esigenza di normalità degli alunni. Sono stati maturi e hanno capito che comunque loro possono fare la loro parte in questa situazione e l'hanno fatta alla grande. Hanno partecipato quasi tutti e hanno fatto tutti il loro dovere. Siamo riusciti a portare avanti anche il progetto extrascolastico contro la criminalità organizzata e sul bullismo. Gallo, lo scrittore, ci ha inviato un video che abbiamo mostrato ai nostri alunni"

Tutti gli insegnanti e i genitori, però, così come già quelli della scuola primaria, concordano su un punto: l'apprendimento, nella didattica a distanza, è minore.
"Su quanto sia efficace all'apprendimento la dad i dubbi li abbiamo", dice la mamma di una ragazza di terza media "E il fatto che mia figlia sia preoccupata di star perdendo il suo metodo di studio in vista della scuola superiore la dice lunga."

I veri apprendimenti di questi mesi, quindi, vertono su qualcosa di diverso rispetto ai contenuti, come sottolinea questo professore delle medie: "Si può approfittare per far capire l'importanza del dialogo ordinato e a turnazione. Su Skype disattiviamo i microfoni e parlano a turno, non tutti insieme, cosa che fanno in classe puntualmente e non si capisce nulla."

E l'attenzione dei ragazzi com'è, durante queste strane lezioni? Fotocamere a volte disattivate, connessioni che saltano, microfoni che non funzionano... Tutto sembrerebbe concorrere a una maggior difficoltà di concentrazione e a una minore reale "presenza" della testa dei ragazzi sui contenuti presentati.

Ma le risposte ricevute sono in questo caso piuttosto variegate.

Ci dice una mamma: "Mio figlio è contentissimo della didattica fatta in questo modo, rende meglio perché in classe si lasciava sempre distrarre. Non aveva un buon rapporto con i compagni, era una classe turbolenta ed è contento di non avere più intorno i compagni che fanno i dispetti"

Questo viene supportato anche da un ragazzo delle superiori, con diagnosi di disturbo dell'apprendimento: "Qualcosa mi sembra di avere anche guadagnato con la didattica a distanza, ad esempio, riesco a tenere meglio la concentrazione perché non ci sono elementi di disturbo. Fortunatamente, mi trovo a mio agio, con gli strumenti che ho a disposizione: computer, cuffiette, tavoletta grafica. Anche i tempi ridotti di lezione mi aiutano ad avere più energie per fare altro. Quando andavo a scuola fisicamente ero sempre molto stanco, ora sono sicuramente più riposato. Gli impegni scolastici ci sono, ma ne sento meno il peso. Se non ci fosse il problema del non poter uscire di casa per vedere gli amici, sicuramente sceglierei di continuare con la didattica a distanza, magari anche solo per periodi brevi, per poter recuperare le forze quando mi sento sotto stress."

Questo è un punto sottolineato da diversi genitori di ragazzi con diagnosi DSA: essendo per loro più faticoso l'apprendimento, il ritmo tenuto durante l'anno scolastico in presenza diventa spesso estenuante, si fanno i salti mortali per restare in pari e il rendimento cala. In una situazione di minor frenesia e con una richiesta minore di ore di lezione, questi ragazzi beneficiano di una mente più "fresca" e reattiva.

Altri ragazzi invece si sentono in maggiore difficoltà:

"Per la didattica a distanza ci sono stati diversi problemi, almeno per me! Ho notato con i miei compagni che é facile distrarsi purtroppo! Noi ovviamente preferiamo fare lezione vecchio stile, cioè in classe con la prof che ti richiama se sei distratto!!"

Come questa ragazza delle superiori, così tante altre:

"A cosa ognuno di noi ha mille stimoli e visto che nessuno ci impone di stare attenti ed ascoltare la lezione è molto facile che sia solo il nostro nome, con microfono e videocamera spenta, ad essere presente."

"Obbligatorio tenere videocamere accese, cosicché nessuno possa fare dell'altro mentre spiego.
Ma non è così facile, non è necessario che io faccia dell'altro, la mia testa molto spesso viaggia... molto spesso ci sono solo apparentemente."

Secondo un insegnante di lettere, la situazione non è drasticamente differente: "A scuola c'erano i compagni a distrarli, a casa ci sono i cellulari o i giochi. Insomma, bene o male pro e contro. Come una classe. Sicuramente leggermente meno efficace dello studio in classe perché senza un controllo si perdono o non fanno le cose e hanno sempre la scusa delle difficoltà tecnologiche, ma non direi per nulla efficace. Chi studia continua a studiare e migliorare comunque, chi non studia non lo fa comunque ora"

Come per ogni situazione, infatti, la ripercussione della didattica online sul livello di attenzione è soggettiva e si interseca con altre variabili, quali l'età, la motivazione personale, il proprio metodo di studio o la possibilità di essere seguiti e aiutati anche a casa.

Gli studenti, però, concordano tutti sulla questione messa in luce da questa ragazza : "Penso che la didattica a distanza sia una metodologia nuova e totalmente diversa da quella che usavamo a scuola. Pertanto, non credo sia possibile pretendere di spiegare con lo stesso metodo di sempre"E ancora, dice un ragazzo di quinta di un Istituto Tecnico: "Ci sono professori che pensano ancora di essere in classe e spiegano velocissimo, senza capire che gli alunni non riescono a stargli dietro."

Allo stesso modo che nelle scuole elementari, i professori si sono trovati a utilizzare una didattica totalmente differente, senza aver mai potuto esercitarsi nell'applicare un metodo di insegnamento adeguato ai nuovi strumenti.

Nessuno studio era mai stato fatto prima, per verificare quali difficoltà possano incontrare i ragazzi in un apprendimento "non in presenza" e gli insegnanti hanno dovuto contare sulle loro capacità di intuito e adattamento per superare i nuovi ostacoli che man mano si presentavano. Pionieri i professori nell'insegnare attraverso un pc, pionieri i ragazzi nel provare ad apprendere.

E infine, per ultimo, il punto focale della questione: la relazione. Come già emerso alle elementari, nonostante la maggior autonomia e un'età più avanzata, i ragazzi rimpiangono e desiderano la presenza di compagni e insegnanti.


"Leggendo diverse opinioni sui social e su siti vari, ho notato che in molti considerano le videolezioni un'alternativa valida da poter utilizzare anche in futuro, non solo in una situazione di emergenza come quella del covid19. Io non concordo per niente con quest'opinione. Ora come ora la didattica online è essenziale, ma non potrei mai rinunciare alla tipica lezione tenuta in un'aula della scuola", dice una ragazza di quarta liceo.

E lo stesso bisogno si palesa in tutti i ragazzi di tutti gli indirizzi scolastici:
"Per me la didattica di questi tempi tramite videolezione, sì è comoda, ma davvero triste... il fatto di non poter interagire in classe come prima manca davvero tanto....personalmente a me la scuola manca :conversare con i compagni o anche farsi una chiacchierata vicino alle macchinette manca"

"Mi manca proprio fisicamente andare a scuola, le mie compagne di classe, tantissimo, la compagnia che si è formata e poi proprio l'ambito scolastico: i prof dal vivo (non tutti) l'intervallo, il corridoio, proprio la scuola in generale"

"Quando eravamo in classe tutti insieme, il tempo in compagnia dei compagni passava molto velocemente; qualche chiacchera e qualche battuta in classe ci aiutavano a eliminare le tensioni per le verifiche e le interrogazioni"

"Questa situazione mi sta facendo apprezzare quando andavamo a scuola. A me personalmente manca quasi tutto: compagni di classe, i prof. Di come è la didattica ora non terrei niente"

La didattica a distanza ha demotivato moltissimi ragazzi, diminuendo le ore di studio, l'apprendimento dei contenuti e l'interesse per le materie scolastiche. Qualcuno ha trovato nello studio un buon rimedio alla noia da quarantena, qualcun altro, avendo una forte motivazione intrinseca, ha proseguito nel perseguimento dei propri obiettivi. Ma la maggior parte dei ragazzi si è domandata: "Perché? Perché continuare a studiare, se la parte più bella della scuola ci è stata tolta?"

Il sostegno reciproco tra compagni, le piccole routine quotidiane, gli scherzi e le battute, il "fare gruppo"; così come il confronto diretto con gli insegnanti e la possibilità di approfondire rapporti, di mettersi alla prova in contesti relazionali, di esercitare le proprie abilità sociali, di conoscersi e scoprirsi attraverso gli altri, sono elementi venuti irrimediabilmente meno.

Questi studenti non sono più bambini, ma ancora una volta ci dicono che sì, la didattica a distanza ha salvato in qualche modo l'anno scolastico, ma non è scuola. Ancora una volta, per crescere e apprendere a tutto tondo, ci chiedono un contesto di relazione.

Interviste nella didattica a distanza. Parte 1

Iniziamo dalle scuole elementari

Nel corso delle ultime settimane, ho provato a chiedere a genitori e insegnanti di raccontarmi la loro esperienza di didattica a distanza.

Come accade sempre, quando si mettono insieme i vissuti di persone differenti, il risultato è stato un variopinto range di possibilità.

Ho deciso tuttavia di condividere alcune considerazioni interessanti che sono emerse, suddividendole per fascia di età.

Oggi partirò dai contenuti sottolineati nei resoconti relativi alla scuola primaria.

  • Problemi tecnici e organizzativi -

I bambini delle scuole elementari, in questo tempo di quarantena, sono stati soggetti a problemi "gestionali" più importanti rispetto ad altre fasce d'età.

Come sottolinea un'insegnante di terza elementare: "Eravamo totalmente impreparati".

Di corsi se ne sono fatti, nel corso degli anni; gli insegnanti hanno imparato ad utilizzarle la LIM e a integrarla nelle loro lezioni; si sono seguiti diversi aggiornamenti sull'animazione delle lezioni e l'utilizzo della tecnologia in classe. Di questo gli insegnanti non erano digiuni.

Ma... "Nessuno ci aveva preparati alla didattica senza i bambini. Anche se si prevedeva di far utilizzare alcuni strumenti tecnologici a casa, poi era sempre in funzione di un ritorno in classe, di un confronto tête a tête."

Come sottolineato da questa insegnante, avere una conoscenza della tecnologia e prevedere una didattica senza i bambini per lunghissimo tempo sono due cose molto differenti.

Senza poter vedere i bambini, ci si è trovati a dover fare i conti con una serie di problematiche che precedentemente non si erano mai presentate:

  • "Il bambino extracomunitario con difficoltà nella lingua, quello a cui magari mi sedevo accanto per offrigli un supporto individuale... quello l'ho perso. Spesso la famiglia, a casa, parla italiano come o peggio di lui e non è in grado di aiutarlo". Così, la scuola inclusiva di cui tanto si parlava, all'improvviso si è trovata a essere una scuola esclusiva. Ognuno, immerso nella sua situazione familiare personale, ha dovuto gestire la didattica con le risorse che aveva.
  • La disponibilità dei supporti tecnologici. Anche le famiglie non erano preparate a dover offrire mezzi che fino a poco prima erano di importanza relativa. Ci sono famiglie che non hanno computer, che magari hanno solo il telefono come mezzo di contatto per le videolezioni. Magari hanno un telefono e tre figli. Magari non hanno mai usato nulla di tecnologico prima di allora e hanno dovuto apprendere tutto da zero. Magari non hanno avuto il tempo o la capacità di apprendere tutto da zero nel bel mezzo di una pandemia.
  • I bambini piccoli non possono utilizzare certi mezzi da soli. "Abbiamo insistito per anni sulla pericolosità di lasciare i bambini da soli davanti allo schermo o di lasciarceli per tanto tempo... Adesso che ci troviamo a fare i conti con una realtà alterata, dobbiamo comunque considerare che i bambini delle elementari, per poter usufruire della didattica a distanza, hanno bisogno dell'affiancamento di un adulto. E quell'adulto magari lavora. O magari è un nonno che non sa da che parte girare un telefono."
  • Questo porta a un successivo problema: quand'è che i genitori sono disponibili a scaricare lezioni e affiancare i figli nelle incombenze della didattica a distanza? Quando non stanno lavorando. Dice un'insegnante: "Io videoregistro le lezioni e le carico sul registro, in modo che ogni famiglia ne possa usufruire nel momento in cui riesce. Però a un certo punto ho avuto la necessità di vedere i miei bambini in faccia, di rendermi conto personalmente di come stavano andando le cose, di verificare quanto avevano capito e appreso. L'unico momento disponibile che mi hanno dato i genitori per una videochiamata di classe è stato il sabato pomeriggio, quando erano tutti a casa dal lavoro. E qui ci siamo scontrati con gli ordini dall'alto del Ministro dell'Istruzione, ordini che la mia dirigente deve far rispettare: le lezioni devono seguire il calendario scolastico. Noi al sabato non avevamo scuola e di conseguenza mi era proibito fare lezione. Chi detta queste regole non si rende conto che l'organizzazione sociale ora è totalmente stravolta e che in questo momento è molto più semplice fare scuola il sabato e la domenica."

Una differenza sostanziale, nella didattica a distanza, la fanno anche la flessibilità e l'apertura degli insegnanti di fronte a queste nuove tecnologie. Non tutti, infatti, hanno le stesse risorse rispetto a un cambiamento didattico così sostanziale e così rapido.

Dice un'insegnante prossima alla pensione: "In questo campo potrei essere considerata BES. Mi immedesimo tantissimo nei miei alunni BES. il digitale mi rende analfabeta, mi sento come se volessero che da un giorno all'altro insegnassi in cinese o arabo, pur non conoscendo una parola in quella lingua"

Questa situazione, totalmente imprevista e capitata all'improvviso, genera ansia e angoscia in chi non era preparato e non riesce ad aggiornare il proprio metodo d'insegnamento in tempi brevissimi. Ricordiamoci che non solo i bambini, ma ogni essere umano ha il suo personale tempo di apprendimento e metabolizzazione di fronte a situazioni e metodologie nuove.

E la questione umana?

Tutti gli insegnanti concordano sul fatto che l'apprendimento dei bambini in questa modalità è minore e che anche i contenuti che erano stati appresi precedentemente in classe, ora, in questa modalità, faticano ad emergere. Anche gli alunni che prima non avevano alcuna difficoltà nell'apprendere, ora consegnano compiti spesso inesatti e l'assimilazione dei concetti va a rilento.

"In fondo dovrebbero lavorare come autodidatti, da soli, perché non tutti hanno i genitori vicino che li possono aiutare. Ma a quest'età hanno bisogno di un adulto presente. Noi a scuola ,in classe, siamo presenti , anche se magari il bambino materialmente non lo stiamo aiutando. E poi i bambini hanno bisogno di un ambiente che è scuola e la casa non è scuola. Infatti i genitori mi dicono che fanno molta fatica, che il bambino è distratto e non ne ha voglia. L'unica cosa che serve , che vedo che hanno voglia di fare e che desiderano di più, è di vederci in videochiamata. Poi magari non stanno attenti, parlano tra di loro, fai delle domande e non sanno cosa dirti, cosa raccontarti, eppure lo desiderano. Lo so, perché me l'hanno scritto. E anche alle videolezioni precostituite, non in presenza, preferiscono che ne mandi una fatta da te, fatta male, piuttosto che vedere la lezione di uno sconosciuta".

Questo aspetto viene sottolineato anche dalla madre di una bimba di seconda elementare: " Quando mia figlia sa che ci sarà videolezione, non fa che chiedermi Mamma, a che ora c'è la maestra? I bambini piccoli hanno bisogno del rapporto, la prima volta che mia figlia ha fatto videolezione e ha rivisto la maestra e i compagni, è diventata bordeaux per l'emozione. "

Un'altra maestra racconta che alla prima videolezione fatta, i suoi alunni vedendola sullo schermo hanno tutti abbracciato il computer.

"Più che di didattica, i bambini hanno bisogno di relazione: in videolezione si combina veramente poco: i bambini vogliono parlare con la maestra."

È l'aspetto relazionale quello che conta di più, soprattutto in una fascia d'età così giovane e vulnerabile. I bambini apprendono attraverso la relazione, attraverso la fiducia che viene loro data e che nutrono negli insegnanti. Attraverso gli stimoli relazionali forniti da chi, capiscono, si sta prendendo cura di loro. Attraverso la sensazione di essere anche ascoltati e non solo di dover ascoltare. È all'interno di una relazione vera che avvengono una crescita, uno sviluppo, una ricerca di sé e del mondo. È attraverso gli occhi degli altri, spesso, che conosciamo e ci conosciamo. E chi riesce a instaurare questo tipo di relazione nella propria classe, con i propri alunni, non può evitare di sentire acutamente il grosso handicap lasciato dalla mancanza di questo.

Come dice un'insegnante di quinta elementare: "Io mi sento derubata". Derubata dei suoi alunni, per quegli ultimi mesi in cui avrebbe potuto offrire loro la sua esperienza e la sua attenzione.

Questo è un vuoto che la didattica a distanza non ha saputo colmare, un tempo che non si potrà recuperare.

Pensieri ed emozioni oltre i 200 metri

Della dott.ssa Annalisa Dotelli e dott.ssa Lara Ferrari, psicologhe/psicoterapeute.


Seconda parte dell'articolo relativo alle sensazioni suscitate dal coronavirus. Dopo aver esaminato alcuni degli stati d'animo vissuti nel periodo di quarantena, ora cerchiamo di mettere in luce alcune reazioni relativi alla fase 2

È quasi superfluo premettere come la percezione della Fase Due rimanga ancorata, per ciascuno di noi, all'esperienza vissuta in questo periodo di quarantena: alcuni il covid lo hanno avuto, altri lo hanno temuto, altri ancora hanno sperimentato il dolore profondo di avere una persona cara isolata in ospedale o di averla addirittura persa senza poterle offrire un saluto. Il vissuto di questi due mesi, simile ma differente per ciascuno di noi, non può non aver intaccato la visione di un ritorno alla "vita normale.

Confrontandoci tra colleghe e chiedendo ad alcuni contatti, in modo del tutto libero e informale, di esprimerci i loro pensieri ed emozioni legati a questa "ripartenza", abbiamo individuato alcune reazioni comuni.

  • La Bolla senza Tempo: Molte persone fanno fatica a concentrarsi sull'idea del futuro: da quando è scattata questa emergenza, a fine febbraio, hanno avuto la sensazione che il tempo si mettesse in pausa. Si è aperta una bolla, fuori da ogni calcolo umano, che ci ha portato a ragionare una settimana per l'altra, un giorno per l'altro.

E adesso che si avvicina il momento di uscire dalla "bolla" e ripartire con la vita consueta, diventa difficilissimo proiettarsi nel futuro e riuscire a immaginare cosa accadrà, quali cambiamenti saranno necessari e a quali abitudini bisognerà rinunciare. L'attitudine avuta, per quasi due mesi, a vivere alla giornata, sembra difficile da smaltire in favore della vecchia abitudine a programmare qualunque evento. L'emozione dominante, per chi vive queste sensazioni, è il senso di smarrimento, unito alla fatica di rientrare nella vecchia forma mentis)

  • I socializzatori: C'è poi chi non vede l'ora di riprendere i contatti con gli amici e familiari lontani.

In questa quarantena hanno sentito la mancanza della "dimensione sociale": la pizza a casa con gli amici, l'aperitivo, l'uscita improvvisata il sabato con le amiche... L'isolamento a cui sono stati costretti ha acuito la necessità di contatto umano, spesso ritenuto fondamentale alla propria serenità. Chi ha sperimentato, in questo tempo, un desiderio di relazioni, ha avuto anche modo di riflettere sulla qualità dei propri rapporti, di fare un bilancio dei propri legami riproponendosi, nel futuro, di investire sui legami più autentici e tagliare via i rami più superficiali della propria vita relazionale. La quarantena ha fatto da ago della bilancia in una valutazione che forse si stava rimandando da tempo.

In questa categoria di persone, le emozioni prevalenti riguardano il senso di aspettativa, di speranza, per i nuovi propositi di una vita relazionale più autentica e meglio vissuta

  • Gli spontanei: Alcune persone guardano alla Fase 2 con il timore di non riuscire e rispettare le misure di sicurezza: mi ricorderò di tenere le distanze? O abbraccerò subito i miei amici? E la mascherina, i guanti ed il gel sempre in tasca?

I cambiamenti di vita che presuppone la fase 2 sono innaturali per chi, fino a poco tempo, era abituato a stare in mezzo alla gente senza particolari accortezze. L'isolamento cui si è stati costretti ha abolito perlopiù le relazioni sociali, togliendo alla radice il problema della distanza, delle precauzioni, del "ragionare secondo cautela". La spesa una volta alla settimana o i pochi giri dovuti a situazioni d'emergenza, non hanno aiutato a creare un vero nuovo modo di porsi.

Diverso sarà ora rientrare nelle vecchie abitudini e nelle vecchie relazioni, in un modo totalmente nuovo e totalmente non spontaneo, che prevede un controllo continuo di sé a cui qualcuno teme di non riuscire a far fronte.

In questa situazione, si vivono prevalentemente la paura di perdere l'attenzione e il controllo dei propri comportamenti

  • I genitori: Chi ha figli, in genere, concentra le proprie preoccupazioni sulla possibilità di convivere con il virus adottando misure condivisibili anche dai bambini. Già solo il ritorno a scuola desta moltissime preoccupazioni: come sarà possibile gestire gli spazi? I mezzi di trasporto? Assicurarsi che i bambini mantengano distanze e atteggiamenti adeguati quando stanno insieme o si trovano coinvolti in un gioco di gruppo? Le misure di sicurezza che si renderanno necessarie prevedono uno stile così controllato da essere di difficile gestione persino per un adulto. Nulla di strano se, pensando al futuro dei propri figli, queste persone si trovano ad affrontare sentimenti di paura e profonda preoccupazione.
  • Quelli del Bunker: ci sono quelli, poi, che hanno fatto della quarantena la loro unica sicurezza. Finché si resta chiusi in casa, lontani da tutto e tutti, i contagiati e i morti continueranno a scendere. Hanno difficoltà ad accettare strategie alternative e temono che, appena la gente tornerà a mettere piede fuori di casa, sarà così sconsiderata da far precipitare tutti in un nuovo incubo. Così, per ricominciare a uscire, a riaprire e a ripartire, è sempre troppo presto... sempre troppo pericoloso. La Fase 2 viene percepita con ansia e senso di minaccia.
  • Gli animali da quarantena: Ci sono, infine, coloro che non vorrebbero abbandonare la quarantena e pensano alla Fase 2 con un pizzico di dispiacere. Eh sì, sembra strano, ma ci sono persone che hanno davvero visto lato positivo di queste settimane e ne hanno goduto, nonostante il senso di colpa per tutto il dolore che si percepiva intorno. Persone abituate a correre, a non avere mai tempo per sé, per la famiglia, la casa, gli affetti... Queste persone hanno percepito il "lusso" del riprendersi tempi e spazi, con lentezza. Hanno riscoperto cosa significa bere un caffè in giardino, pulire la verdura con calma per preparare qualcosa di buono, leggere al sole in terrazzo e fare yoga ogni mattina... Hanno amato la propria casa, spesso trascurata, avvertendo gratitudine per gli spazi accoglienti che ha donato loro e la protezione che ha offerto da quel "fuori" così minaccioso. Le emozioni prevalenti riguardano il rammarico e il timore di tornare nello stato di stress precedente

Non sappiamo se vi siete ritrovati in una di queste reazioni e ribadiamo che non sono affatto esaustive di tutte le possibili risposte dell'essere umano ai cambiamenti che stiamo vivendo. Vorremmo soprattutto dirvi che ogni emozione o pensiero che questo ennesimo step che ci aspetta suscita è valido e legittimo, non ce n'è uno migliore o più funzionale di un altro: ascoltatevi, siate gentili con voi stessi anche nelle giornate più difficili e accogliete le emozioni, anche la paura, senza cercarla di evitarla o controllarla.

Pensieri ed emozioni entro i 200 metri

di Annalisa Dotelli e Lara Ferrari

Con la collega Lara Ferrari, psicologa e psicoterapeuta di Parma e cara amica, abbiamo pensato a un articolo in due tempi, di cui questa è la prima parte. Una veloce, ma sentita raccolta delle nostre emozioni di questo periodo di quarantena. Questa è la nostra esperienza, non certo esaustiva di tutte le possibilità, ma che speriamo ci avvicini emotivamente alla maggior parte delle persone.


Era la seconda metà di febbraio, quando è apparsa la notizia del primo contagiato covid a Codogno. Avevamo già da quasi due mesi le immagini della Cina negli occhi, luoghi distanti che stavano affrontando uno scenario apocalittico e forse tutti ci siamo domandati se quel mondo, prima così distante, sarebbe diventato anche il nostro.

Ma no - abbiamo pensato - sono solo pochi casi e li terremo a bada.

Mentre il panico dilagava e le scuole chiudevano, ci hanno detto che era solo una banale influenza. State distanti e lavatevi le mani, ma non fate crollare l'economia.

Messaggi contraddittori dalla tv e dalle radio, dai social e dai politici. Abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto, poi ancora il contrario del contrario.

Molti di noi sono rimasti barricati in casa con il terrore di contrarre un virus possibilmente letale. Qualcuno di noi è rimasto contagiato e neppure lo sapeva: l'ha scoperto quando, man mano che la gente si ammalava, l'elenco dei sintomi è stato aggiornato . Qualcuno invece l'ha preso e lo sapeva, ha convissuto con l'ansia delle complicazioni, di contagiare i familiari, di poter precipitare nell'inferno degli ospedali. Qualcuno è stato veramente male, per giorni e giorni e ne è uscito a fatica; qualcun altro ha avuto familiari e amici in condizioni gravi, ha vissuto l'angoscia della lontananza, dell'incertezza, della solitudine. Qualcuno è stato ricoverato, qualcun altro ha subito perdite importanti.

Abbiamo visto i nostri luoghi di ritrovo chiudere uno a uno, il nostro raggio d'azione ridursi giorno dopo giorno. La quotidianità si è stravolta e abbiamo dovuto elaborare un nuovo modo di vivere le giornate, senza le persone con cui avevamo ogni giorno a che fare, in spazi ridotti; bombardati da video, informazioni, articoli che restringevano il focus della nostra attenzione solo e soltanto sul covid. Le cause del covid, gli effetti, i tamponi, gli ospedali, le terapie intensive, i medici, i decessi, le bare, le restrizioni, i controlli, le multe, le autocertificazioni; chi chiude, chi apre, chi richiude. Le scoperte, i test, i numeri sparati ogni giorno senza alcun paragone di riferimento. Il covid al nord, al Sud, in Europa, negli Stati Uniti. Anticorpi sì, anticorpi no. Mascherine sì, mascherine no.

Abbiamo sentito le sirene delle ambulanze strillare per settimane a ogni ora del giorno e della notte, abbiamo fatto liste della spesa degne di un assedio, abbiamo scaricato app e programmi per studiare e lavorare da casa, a distanza, con persone che fino al giorno prima vedevamo in presenza quotidianamente, mentre i bambini annoiati chiedevano la nostra costante attenzione; e nel frattempo da ogni mezzo di comunicazione ci dicevano "Che vi costa? Dovete solo stare a casa sul divano a guardare la tv!"

Così ci siamo anche sentiti in colpa nei confronti di chi un tempo aveva fatto la guerra, nei confronti dei migranti che attraversano i mari sui barconi, nei confronti dei medici che stavano lottando negli ospedali. Perché è chiaro che, quando paragoni il tuo disagio a quello di qualcun altro, sei sempre in perdita.

Così abbiamo pensato che non dovevamo lamentarci e forse neppure stare male, come se non poter camminare oltre i 200 metri da casa fosse una condizione normale, che vuoi mai... vivi in un paesino di 3km totali e sono due mesi che non vedi nulla oltre la tua via.

Chi è dovuto andare al lavoro, ha vissuto con l'angoscia del contagio per sé e per i suoi cari; chi è stato costretto a stare a casa dal lavoro si è chiesto come sarebbe sopravvissuto alla chiusura. La libertà, che per noi italiani è un bene scontato da decenni, si é ridotta progressivamente tra un comunicato di Conte e l'altro.

Abbiamo accettato ogni cosa per il bene nostro e degli altri, mentre schivavamo il vicino al balcone che ti fotografa perché potresti essere un trasgressore e cercavamo di spiegare ai bambini perché non si poteva più uscire ma senza traumatizzarli.

Abbiamo sentito mille opinioni e mille contraddizioni, linciaggi su facebook e pagine di morti sul giornale. Abbiamo fatto del telefono la nostra migliore arma di comunicazione e ci siamo sentiti al sicuro solo chiusi tra le nostre quattro mura, armati di gel disinfettante e mascherine che fino a due mesi prima non avevamo mai usato.

Le giornate si sono allungate, la primavera è sbocciata e con lei i droni che ti seguono mentre vai a fare spesa e noi, che da un mese e mezzo con l'umore facciamo up e down come esercizio quotidiano, a volte ci ridiamo su e condividiamo meme divertenti e a volte ci incazziamo e mandiamo tutti sulla forca. A volte siamo affettuosi e sentimentali e a volte cinici come i peggiori serial killer.

Tra un bel pianto e una polemica, tra il pane fatto in casa e un esercizio di aerobica online, i numeri dei ricoveri hanno cominciato a scendere. Attendiamo ogni giorno il bollettino serale: quanti decessi oggi? Quanti nuovi contagiati? E quanti, proporzionati al numero di tamponi che si fa ora rispetto a una settimana fa, a due settimane fa, a un mese fa?

La curva scende, le imprese fremono per ripartire, il sole all'esterno chiama... E all'improvviso si prospetta la FASE 2.

La ripartenza.

La sognavamo e l'aspettavamo, chiusi nella nostra bolla senza tempo da febbraio. Ma adesso possiamo iniziare a prospettarcela davvero.

Noi, dopo aver vissuto tutto questo, ognuno a suo modo e con la sua esperienza, chi siamo davanti alla fase 2?


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Chi sono

Mi chiamo Annalisa Dotelli, sono psicologa/psicoterapeuta a indirizzo cognitivo- comportamentale e opero nel piacentino da quasi 15 anni


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